Ho aperto la porta di camera mia, tutto è in disordine come prima di partire.
Sono appena tornata da un viaggio in Cina, un paese che sognavo di visitare da quando, bambina, vidi Mulan della Disney tra un film e l’altro di Jackie Chan. Ad accrescere la mia curiosità si aggiunsero poi i libri di Terzani, il riso alla cantonese, i ravioli al vapore e gli involtini primavera.
Nessuno era contento che io e Lele andassimo in Cina. Dalla nostra parte di Mondo la Cina appare un paese controverso ed enigmatico. E lo è. E’ un paese vittima di grandi cambiamenti politici, sociali ed economici. E’ un paese popolato da persone che per decenni sono state inermi di fronte alla dissoluzione del proprio patrimonio culturale, soggiogate e vittima di una chiusura ermetica rispetto al resto del Mondo.
Ci sono tante, tantissime usanze e leggi che ci fanno ancora storcere il naso, dalla varietà di ingredienti esotici nella medicina cinese alle politiche insufficienti e tardive sull’inquinamento ambientale, dalla censura di internet alle innumerevoli “chinatown” sparse per il Mondo dove le persone si sono rifugiate per essere libere.
Come non storcere il naso? Come non alimentare i propri pregiudizi? Come non vedere la Cina come una nazione arcaica e pericolosa?
La Cina è stata come il disordine di camera mia.
Ecco, andare in Cina è stato questo, un continuo farsi coinvolgere e sconvolgere per poi ritrovare un equilibrio in quel disordine, pur non riuscendo a comunicare come vorresti, pur non riuscendo a raggiungere il luogo che avresti voluto vedere, pur non riuscendo a capire cosa tu stia mangiando.
Ti ritrovi a vivere momenti indiscutibilmente assurdi e a renderti conto di come tutto sia, in fin dei conti, “normale”. Normale come ritrovarsi a prendere un caffè con la pantera rosa al tuo fianco – e hanno una vera passione per la pantera rosa, ma ancora non ne ho capito il perchè. Semplice come ritrovarsi accerchiati da bambini e famiglie desiderosi di farti una foto e di farsela con te come se tu fossi una celebrità. Normale come utilizzare una app (WeChat) per fare ogni cosa, dal comunicare al tradurre al pagare il conto del ristorante.
E ora che sono tornata, che sono qui davanti al pc con il mio caos e il mio diario dei pensieri, non so davvero da dove cominciare per descrivere in poche righe cosa ha significato per me questo lungo ed incredibile viaggio.
Viaggiare in Cina è stato faticoso, caotico, ma soprattutto, è stato emozionante.
Andare in Cina oggi significa scoprire un popolo la cui anima non è stata così impoverita come il regime comunista avrebbe voluto, perché la quotidianità cinese è ancora stracolma di particolarità e scandita da antiche credenze.
Taoismo, Buddhismo e Confucianesimo, rappresentano i punti cardinali della spiritualità e della vita cinese. Il “wu wei” è il “non agire”, la visione taoista secondo cui le cose avvengono da sé, grazie al dinamismo tra la natura e le forze universali – e qui capisci il perchè tutto il caos diventa ordinato e normale. Passeggiando per le strade di Pechino è possibile trovare gruppi di persone intente a praticare il Tai Chi che subito si dedicano a giochi di carte lungo il cortile del Tempio del Cielo.
I templi Buddhisti racchiudono delle vere e proprie opere d’arte e, tra fumi d’incenso e statue del Buddha, l’ambiente circostante ti fa percepire quasi il Nirvana. La dottrina del Confucianesimo è tutt’oggi presente nella struttura sociale e politica della Cina.
E ancora, il Kung Fu, l’arte marziale per eccellenza, incredibilmente rispolverata nei monasteri nell’antica zona montuosa della regione Henan grazie ai film prodotti ad Hong Kong – vedi Bruce Lee e Jackie Chan.
Ripenso alle parole di Terzani quando raccontava degli “animali domestici” alquanto insoliti e bizzarri. Se i cani erano vietati, i cinesi addomesticavano grilli, merli parlanti, canarini, che portano tutt’oggi a passeggio per le strade di Pechino – e non puoi immaginare quante chiacchierate abbiamo fatto con un merlo davanti ad una tazzina di caffè.
I cinesi sono divertenti e socievoli, disorganizzati ed intuitivi, accoglienti e sorridenti. Camminano per strada senza una logica, sputacchiando per terra, sempre con cellulare in mano e con la maglietta tirata su per far vedere l’ombelico – non so perchè, ma gli uomini fanno così. Li vedi lavorare di giorno e di notte, ininterrottamente, goffamente, ma, alla fine, fanno nascere un’intera via in un batter di ciglia. Li vedi assorti in chiacchiere, in risate, in sorrisi, in preghiera, a guardare il cielo, un albero oppure te.
I cinesi hanno i capelli neri che incorniciano i volti tondi, all’inizio hanno espressioni enigmatiche e serie, ma uno sguardo curioso, un inchino con la testa, un saluto con la mano o un sorriso sorpreso, te lo regalano sempre.
Si avvicinano per farti una foto, e ti ritrovi circondato da intere famiglie che ti scrutano e ti analizzano nel dettaglio. Puoi trovarti ad essere rincorso da una ragazza che vuole farti fare una foto con sua nonna nel giardino del Palazzo d’Estate, da un marito che ne vuole una con sua moglie ai piedi del Tempio del Cielo o da madri che la richiedono con i propri bambini al gate dell’aeroporto.
Perché sì, è esistita una legge per controllare le nascite. Ma oggi le famiglie sono più felici, numerose e unite che mai e adorano farti conoscere i loro figli.
Viaggiare in Cina è stato per noi entrare in quel mondo fatato di occhi sognanti che ti inseguono come se tu fossi il protagonista di un cartone animato, di ditina a “V” in posa per farsi fotografare, di sorrisi emozionati nell’aspettare di poter vedere la foto scattata insieme. Quei bambini, dal primo all’ultimo, ignari di averti regalato i momenti più dolci dell’intero viaggio.
La fatica del raggiungere la Grande Muraglia – e del camminarci sopra – surclassata dall’emozione di vederla con i nostri occhi. La fatica nello spostarci in questo grande, immenso paese, sparita dalla meraviglia nel guardare un paesaggio che muta incessantemente, come un universo geografico e metropolitano che puoi osservare da un finestrino di un bus, di un treno, di una macchina o di un aereo.
Perchè, quando ti ritrovi ad emozionarti davanti ad una meraviglia del mondo o quando perdi il fiato di fronte ad un panorama, beh, tutta questa fatica diventa un bellissimo passatempo.
Le fatiche di Lele: (1) scendere contro corrente dalla Grande Muraglia (con signora disperata al seguito); (2) Fare da sherpa per le strade di Longji.
A volte abbiamo sperimentato disgusto, a volte un languorino che non pensavamo di avere, a volte eravamo solo felici di poter mangiare sempre, sempre e sempre.
Non potrai mai sapere cosa esattamente tu stia mangiando, quale carne, quale vegetale, quale cereale, perché il coriandolo e l’anice stellato sono ovunque, e il loro odore è così intenso e caratteristico, che, ad un certo punto, mentre ti strafoghi di ravioli, il “cosa” tu stia mangiando diventa irrilevante. Perché mangiare qui è una priorità e i cinesi lo sanno, mangiano in continuazione e tutti insieme. Sì, perché non si tratta solo di cibo, ma di un vero e proprio evento conviviale e condiviso da svolgere ovunque ci si trovi, che sia per strada, in coda, sulla Muraglia, poco importa.
Ed è così che io e Lele ci siamo ritrovati a divorare tutto ciò che lo street food aveva da offrirci, dagli huntun (zuppe), ai jiaozi (ravioli) e i baozi (paninetti al vapore ripieni), ai dolci a forma di Hello Kitty o ai gelati con gusti improbabili quali anguria-macha-pomodoro.
Ed è così che a Longji, io e Lele veniamo invitati a tavola da una famiglia meravigliosa per condividere un Hot-Pot (pentolone di brodo), una delle cene più belle che mi possa ricordare dove la comunicazione era scandita da gesti lenti, smorfie divertite nel leggere il traduttore, brindisi ospitali e rintocchi di bacchette, il tutto al lume di calde lampadine nel mezzo del nulla.
Viaggiare in Cina è stato semplice? Assolutamente no.
Il primo giorno, chiedendo informazioni alla reception di un grande hotel per cambiare i soldi, ci hanno scritto sul telefono “Foreigners are not welcome” (gli stranieri non sono benvenuti). E sì, mi sono arrabbiata, mi sono sentita smarrita e non desiderata, la prima volta. Poi la seconda volta mi sono arresa. La terza volta semplicemente avevo capito che i cinesi non potevano fare diversamente, perché la verità è che i cinesi sono ancora oggi oppressi da leggi non scritte che determinano alcuni comportamenti verso noi turisti occidentali.
Abbiamo così capito che per cambiare i soldi dovevamo andare in banca, che non tutti gli hotel possono far soggiornare gli stranieri, che dovevamo avere sempre il traduttore alla mano e che, senza VPN, il muro virtuale (la censura di internet) è letteralmente invalicabile.
Non ci siamo mai sentiti in pericolo, non siamo mai stati lasciati in balia per strada, pur con tutte le difficoltà culturali, politiche e comunicative che un viaggio in questo paese ti mette di fronte.
Perchè un tassista ha fermato un autobus in mezzo alla strada per farci tornare a casa – noi non riuscivamo a comprendere le destinazioni scritte in ideogrammi. Perchè un uomo ci ha fatto saltare tutta la fila litigando con altri per farci prendere in tempo i biglietti del treno. Perché nessuno ci ha mai chiesto qualcosa in cambio, solo dato.
E vuoi sapere anche un’altra cosa? Le strade e l’aria di Pechino le abbiamo trovate inaspettatamente pulite! Motorini e macchine sono elettriche e silenziose, e il cielo era blu.
In Cina, abbiamo storto il naso, sorriso, ci siamo arrabbiati e ci siamo commossi. Perché, per secoli e secoli, la Cina si è sentita il centro dell’universo, un regno remoto per il resto del Mondo, esclusivo, governato da imperatori – e dittatori – che hanno dettato le linee di azione come quelle di pensiero. Ma oggi la Cina sta ri-acquisendo il proprio posto nel Mondo con quel senso di stordimento e smarrimento tipico di chi si risveglia dopo un lungo sogno.
La Cina è anche intensa, emozionante, umana, lati di questo paese che per noi occidentali sono difficili da immaginare.
Ho messo ordine, o quasi, a questi convulsi pensieri ed ora la Cina è un quadro che prende vita da sé, completamente diverso da come ero partita.
L’unica cosa che si può fare in Cina, è avventurarsi il più possibile per le sue strade, per la sua tradizione, per la sua gente, avvicinandosi, senza la pretesa di decidere se amarla o odiarla, senza cercare di analizzarla.
L’unica cosa che si può fare in Cina, è decidere di viaggiare intensamente, solo con l’intento di perdersi per viverla senza forzature – come il taoismo insegna.
Una psicologa con la valigia sempre in mano.
Benvenuti nel blog di Psicologia del viaggio.
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