“È vero che i cinesi ti trattano male?” Mi chiede una ragazza indecisa se fare un viaggio in Cina. “Assolutamente No!” rispondo io.
Viaggiare permette di allenare una delle nostre capacità più importanti: l’empatia.
Sento spesso parlare di “empatia in viaggio” come se, implicitamente, l’andare in una terra lontana e diversa stimolasse automaticamente la capacità di “mettersi nei panni dell’altro”.
Non sono molto d’accordo.
È davvero così semplice provare “empatia in viaggio”?
Per rispondere vorrei raccontarti un episodio: il mio primo contatto con i cinesi.
Era la prima sera a Pechino, dopo un volo di sedici ore e poche ore di sonno, tanto entusiasmo e altrettanto smarrimento. Prima di andare a dormire, Lele ed io decidiamo di cambiare i soldi in un hotel internazionale, così come consigliato dalla Lonely Planet, in modo da fare direttamente colazione la mattina seguente.
Troviamo un hotel con tante bandierine, di tutte le nazionalità, che sventolavano fuori sopra l’insegna e così entriamo. In reception c’era una ragazzina con indosso degli occhiali spessi, intenta a chattare sul suo cellulare con lo sfondo della pantera rosa.
Mi è rimasta impressa perché era adorabile, timida ed eccentrica al tempo stesso.
Quella ragazzina teneva gli occhi bassi come se facesse fatica a guardarmi e, appena vide gli euro nella mia mano, iniziò a scrivere sul cellulare in modo concitato per poi mostrarmi lo schermo: “Foreigners are not allowed” (“Gli stranieri non sono ammessi”).
Ci rimasi male, non capivo perché non potesse cambiarmi i soldi. Non mi sentivo accolta né ascoltata, la barriera linguistica mi sembrava invalicabile, come premonizione del viaggio: “Sarà sempre così?”
Insistetti ancora, pensando che non avesse capito, ma lei mi mostrò di nuovo il telefono.
E poi Lele si accorse che quella ragazzina era tremendamente in imbarazzo, con le lacrime agli occhi, in grande difficoltà. E io mi sentii in colpa.
Ci riprovammo nell’albergo successivo, dove il receptionist ci accolse con grande calore e ci mandò fuori con altrettanto patimento. Ed è lì che ci siamo resi conto che esistevano delle regole non scritte che il popolo cinese doveva seguire nei confronti degli stranieri.
Sai, nessuno è stato maleducato con noi.
Il fatto è che nessuno poteva accettare e cambiare soldi liberamente e a loro dispiaceva non poterci aiutare.
Alla fine, abbiamo cambiato i soldi in banca la mattina successiva, dopo una lunga trafila per controllare le nostre generalità, e nel corso del viaggio abbiamo prelevato direttamente al bancomat senza più mettere in difficoltà qualcuno.
Dopo la banca, siamo capitati a fare colazione in compagnia della pantera rosa e abbiamo fatto amicizia.
Come vedi da questo primo incontro con i cinesi, se mi fossi fermata alla prima impressione, li avrei valutati solo come “maleducati” e mi sarei sbagliata.
L’empatia si può allenare in viaggio, ma solo se si usa questa abilità con consapevolezza di sé e della realtà che ci circonda.
L’empatia è un’abilità sociale di estrema importanza nel nostro modo di vivere e di comunicare con gli altri. Siamo empatici quando cerchiamo di identificarci, almeno parzialmente, nel mondo soggettivo della persona che abbiamo di fronte, con accettazione non giudicante, provando il “sentirsi nei panni dell’altro”. Questo permette di stringere e rinforzare i legami, comprendendo la dimensione emotiva, i pensieri e le motivazioni dell’altro, ma anche di promuovere una conoscenza delle sfumature interiori che possiamo provare noi.
Ci sentiremo empatici quando proveremo compassione di fronte a qualcuno in difficoltà, un dispiacere che sentiremo anche noi e che ci spingerà a dare un aiuto.
Siamo empatici anche di fronte alla bellezza che il Mondo e la vita ci offrono, provando quel misto di felicità e meraviglia che ci spingerà a sorridere in modo sincero di fronte a segnali d’amore, come un abbraccio, le risate di un bambino, le gentilezza di uno sconosciuto.
Non solo l’empatia è una abilità innata – tranne in rari casi – ma possiede anche una base neurobiologica, un circuito neuronale che può essere stimolato intenzionalmente facendo così supporre che l’empatia possa essere allenata in diverse circostanze.
E il viaggio è una di queste.
È riconosciuto come viaggiare sia un nobile mezzo per incrementare le proprie abilità di problem solving e le competenze creative, per allentare stereotipi e rigidità di pensiero, per ampliare il proprio bagaglio emotivo ed esperienziale facendoci vivere il viaggio come un’opportunità di crescita personale.
Eppure, l’esperienza reale di incontrare nuove culture, anche se meravigliosa, a volte può essere complicata, sia praticamente sia psicologicamente – non a caso, si parla di Shock culturale.
1. C’è un primo momento in cui proviamo euforia per l’aver messo piedi su una nuova terra, in cui ogni cosa ci colpisce perché “esotico-pittoresco-diverso” rispetto a ciò a cui siamo abituati.
Un momento che dura da quando iniziamo a pensare al viaggio a quando muoviamo i primi passi su quella nuova terra e ogni cosa che ci circonda rapisce i nostri sensi con grande gioia e leggerezza. Esattamente ciò che ho provato atterrando in Cina.
2. Sopraggiunge poi una più ampia consapevolezza sulle diversità, così la curiosità iniziale si sostituisce a impazienza, frustrazione, preoccupazione. Il nostro umore oscillerà emotivamente tra l’eccitazione del viaggio e il desiderio di casa.
Così mi è successo provando a cambiare i soldi la prima sera a Pechino.
3. Cominciamo ad accettare le diversità e impariamo a gestire sentimenti negativi adattandoci e comprendo la realtà locale.
Questa fase è avvenuta quando ho compreso che le reazioni dei receptionist di fronte a me non erano dovute a maleducazione nei miei confronti, ma ad una difficoltà che io non potevo sapere. Non era scortesia o inospitalità, ma imbarazzo e prudenza.
4. Con questa consapevolezza, apprezzeremo il paese e la cultura straniera sentendoci più a nostro agio e in armonia, come se fossimo a casa.
Esattamente ciò che ho provato i giorni successivi in questo viaggio in Cina. Quella difficoltà non era premonitrice di un atteggiamento ostile nei miei confronti, bensì lo scoglio da comprendere per immergersi e farsi trasportare in quel viaggio fisico e emotivo semplicemente meraviglioso – che ho raccontato in questo post di riflessioni sul viaggio in Cina.
L’empatia in viaggio può essere provata solo con la consapevolezza dei nostri cambiamenti psicologici e accogliendo all’interno del nostro vissuto personale, in modo non giudicante, tutte le diversità e le verità più scomode di un paese in cui siamo ospiti.
L’empatia ci permette di comprendere gli altri e di rinforzare i legami e la comunicazione con loro. Per questo quando siamo empatici non dobbiamo tenere dentro di noi la nostra sensibilità, ma dobbiamo dimostrarla, a casa e in viaggio:
Prima di partire, credo sia utile avere un bagaglio mentale – che io chiamo valigia psicologica -, ovvero un’immersione a distanza nella cultura e nella storia di un paese in cui vogliamo recarci.
Preparare la nostra mente, ci aiuta, una volta destinazione, a sapere dove e come guardare.
Parlo di libri da leggere, film e documentari da guardare, racconti da ascoltare, tutto ciò che ci permetterà di orientare nella giusta comprensione la nostra esperienza di un luogo.
Ti riporto come esempio la mia valigia psicologica per affrontare un viaggio in Messico così che sia di ispirazione per te per i tuoi prossimi viaggi nel Mondo.
Viaggiare è un’esperienza bellissima ma ancora più appagante è quando è consapevole.
Buona empatia in viaggio!
Tucker, H. (2016). Empathy and tourism: Limits and possibilities. Annals of tourism research, 57, 31-43.
Viaggiare ed entrare in contatto con altre culture aumenta l’empatia? Di Ruth Terry per il National Geographic
Una psicologa con la valigia sempre in mano.
Benvenuti nel blog di Psicologia del viaggio.
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