Impagabile.
È la sensazione che si prova quando ti trovi di fronte alla piana di Bagan.
Del Myanmar mi sono innamorata e uno dei motivi è stato il vedere la piana di Bagan.
Saliamo sul pulmino a Mandalay direzione Bagan.
Per quasi cinque ore (e parliamo di una distanza di 200 km) io e Lele siamo stati ad osservare il mutare del panorama. Gli edifici in cemento lentamente svaniscono lasciando spazio a case di legno e a strade sterrate che si diramano nelle campagne. Tutto si circonda di verde, come se la natura avesse preso il sopravvento con la sua forza e la sua furia, lasciando trasparire lo stile di vita sempre più essenziale e povero. E forse è stato proprio così.
Nel 2010, infatti, un ciclone colpì la zona centrale del Myanmar abbattendo case, alberi e coltivazioni. Nel 2016, un violento terremoto danneggiò centinaia di stupa nella piana di Bagan che ha portato ad un’imponente opera di restauro e al divieto di salire su numerosi templi.
Finita la corsa in pullman a Nyaung U, saliamo su un taxi per dirigerci in albergo situato sulle placide rive del fiume Irrawaddy, nei pressi di Old Bagan. Per la strada, il paesaggio dal finestrino muta ancora e si trasforma in una vista sublime e surreale. Ha superato davvero ogni nostra aspettativa.
Eccola, la piana di Bagan.
Loky, così si pronuncia il nome del nostro autista di tuk-tuk, è una ragazzo di poche parole e tanti sorrisi, che si è divertito a correre sulla piana per tutte le strade più improbabili, consapevole che ci stava accompagnando nella realizzazione di un sogno di cui gli saremo sempre grati.
I tre giorni a Bagan sono stati un continuo sospiro di meraviglia, nonostante le boccate di polvere alzata nel tragitto, nonostante le sveglie a notte fonda per vedere l’alba, nonostante i piedi sporchi per entrare e uscire dai templi.
E cosa dire di quei templi, quelle pagode e quelle stupa. Anche se migliaia – circa 3000 – non ti stancheresti mai di guardarle perché sono così diverse, per dimensione, tipologia e conservazione, che ogni volta c’è da restare estasiati. Ed è così che ci siamo immersi nella piana di Bagan seguendo i consigli di Loky.
Perditi tra le stupa che punteggiano la piana e lasciati attirare dai maestosi templi che vedrai in lontananza. Questo è il consiglio più sincero che posso darti per visitare la piana di Bagan.
La zona archeologica di Bagan si trova nella parte centrale del Myanmar. È divenuta Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO solo da luglio 2019 a seguito di ingenti restauri, lavori che suscitarono profonde critiche dalla comunità internazionale per la mancanza di accuratezza storica.
Il passato di Bagan vede un susseguirsi di periodi gloriosi e secoli di incuria, invasioni straniere e intemperie. Nel XI secolo, il re bamar Anawrahta ordinò la costruzione di oltre 4.000 templi per celebrare il buddhismo theravada, la religione del Myanmar, dando inizio al Primo Impero Birmano. Il declino cominciò un paio di secoli dopo. Alcuni storici parlano di invasioni mongole, altre leggende di un popolo che abbandonò Bagan per difendersi dagli invasori, altri scritti raccontano di lotte tra etnie. Quel che è certo, è che cominciò un periodo di trascuratezza e razzie che finì solo nel XIX secolo.
Dopo il terremoto che distrusse e rovinò centinaia di strutture, oggi il territorio conta più di 3.000 templi e stupa che punteggiano la piana. Molti di questi sono stati restaurati con l’intento di far rivivere gli antichi splendori, facendo diventare Bagan uno dei luoghi spirituali tra i più importanti del Sud-Est Asiatico.
Ma anche una delle più note mete turistiche.
Per quest’ultimo motivo, sono molte le persone locali che scelgono di vendere abusivamente souvenir vicino ai templi, tra cui tanti bambini che abbandonano precocemente la scuola per un guadagno più facile. Una situazione che non lascia indifferenti e che amareggia l’animo mentre è invaso dal sublime del paesaggio.
Nonostante “perdersi” sia l’invito principale, ci tengo a consigliarti 5 luoghi che più mi hanno colpito:
Shwezigon Paya è un vero splendore. L’imponente tempio buddhista è nella zona di Nyaung-U ed è custode, secondo i racconti, di un osso e di un dente del Buddha Gautama.
Tolte le scarpe all’ingresso, il profumo d’incenso e di fiori è un invito a entrare. La stupa circolare dorata attira subito l’attenzione ma sono poi le travolgenti preghiere e l’ammirazione dei gruppi di fedeli sparsi per le terrazze e i santuari che catturano lo sguardo.
A meno di un chilometro, le cupole ricoperte di lamine dorate del Ananda Pahto sono un richiamo in lontananza. Questo tempio ha un’architettura sublime che rimanda ai templi induisti. La struttura chiara è ben conservata e, all’interno, le pareti e le statue narrano le scene di vita del Buddha Gautama. “Ananda” significa “beatitudine”.
Tornando verso Old Bagan, il Tempio di Htlominlo è un’imponente struttura in mattoni rossi che primeggia sulla piana. All’interno, una serie di corridoi ornati da immagini raffiguranti il Buddha che accompagnano al santuario principale; fuori, una serie di terrazze rivestite in piastrelle di terracotta raffiguranti le scene dei Jakata, le vite precedenti del Buddha.
Non solo il tempio, ma anche i suoi dintorni costellati di stupa e vegetazione sono da esplorare.
Sulamani Pahto è uno dei templi più belli e imponenti di Bagan. Il suo nome significa “piccolo rubino”, essendo, secondo la leggenda, il luogo di ritrovamento di questa pietra preziosa per mano del re Narapatisithu. La sua struttura interna è un via vai di corridoi e cunicoli che custodiscono le statue del Buddha seduto, mentre all’esterno, sulle terrazze, sono descritte le scene del Jakata. Le cinte custodiscono una splendida vegetazione che rende ancora più piacevole la visita.
Dhammayangyi Patho è anch’esso imponente e visibile da ogni punto della piana di Bagan. La storia che aleggia su questo tempio narra di un tentativo di ammenda per i suoi peccati del re Narathu, colpevole di aver ucciso i suoi familiari. Per questo motivo, alcuni corridoi sarebbero murati. Le cinta del tempio racchiudono un giardino tranquillo dove è inevitabile fermarsi a chiacchierare con venditori non troppo invadenti e persone attirate dalla leggenda – e dalla maestosità della struttura.
Abbiamo visto il primo tramonto su una collina di fronte al Buledi Pahto. Il sole è sceso come muovendosi tra i pinnacoli del tempio e delle stupa, rendendo quella vista una sorta di danza per gli occhi.
Il giorno seguente siamo rimasti in albergo, seduti sulle rive del fiume Irrawaddy, con in mano un bicchiere di vino australiano. I colori dell’acqua e la rilassatezza che si respira in quel giardino sono impagabili, soprattutto dopo aver passato la giornata a scorrazzare su strade sterrate.
Può sembrare faticoso svegliarsi alle 4.30 del mattino, ma ogni fatica e freddo provato sono ripagate da un panorama che non ha prezzo. Loky, provvisto di torcia in mano, ci ha accompagnato nell’oscurità della notte su una collina. Potevamo solo sentire il brusio di altre persone accanto a noi e qualche luce fioca avvicinarsi.
Quel buio, dopo circa un’ora, ha lasciato spazio alle prime striature rosa all’orizzonte, le sagome dei templi e delle stupa si sono mostrate ricoperte di una lieve nebbiolina e un’infinità di mongolfiere si sono alzate da terra per volteggiare nel cielo. Il sole è apparso dietro l’antico tempio buddhista Thatbyinnyu.
Semplicemente un’alba, semplicemente una vista meravigliosa.
L’ultimo giorno ci siamo alzati all’alba per proseguire il nostro itinerario. raggiungiamo l’aeroporto e e arriviamo a Pindaya e al Lago Inle, nella zona orientale del paese.
Salutiamo le mongolfiere e quella luce soffusa con tanta gratitudine.
[Ti rimando a questo post per sapere dove ho visto albe e tramonti spettacolari in Myanmar, così per segnalarti meraviglia sparsa qua e là.]
“Ci sono viste al mondo dinanzi alle quali uno si sente fiero di appartenere alla razza umana. Bagan all’alba è una di queste. Nell’immensa pianura, segnata soltanto dal baluginare argenteo del grande fiume Irrawadi, le sagome chiare di centinaia di pagode affiorano lentamente dal buio e dalla nebbia: eleganti, leggere; ognuna come un delicato inno a Buddha… È come se una qualche magia avesse fermato questa valle nell’attimo passato della sua grandezza” – Tiziano Terzani
La maggior parte dei templi da visitare è racchiuso nella zona di Old Bagan, sparsi per le piane settentrionale e centrale. Intorno si sviluppano le zone di New Bagan, brulicante di locali e atelier artigianali, e di Nyaung U, piena di guesthouse a prezzi più contenuti.
Noi abbiamo scelto di stare a Old Bagan presso il Bagan Thande Hotel che ti consiglio per l’ottima posizione e i servizi.
Abbiamo scelto di girare la piana in compagnia di un fidato tuk tuk – data la mia incompatibilità con i velivoli a due ruote.
È possibile girare Bagan con motorini e bicilette a noleggio, ma tieni presente che la piana è molto estesa e i templi sparpagliati; le distanze da percorrere quindi non sono molto brevi e spesso dovrai percorrere strade sterrate.
Il tuk tuk, rispetto a taxi e minivan che ti sconsiglio, è un mezzo piccolo e molto flessibile.
Farsi accompagnare da un locale è sempre un’ottima opzione perché permette di conoscere la storia del luogo – e soprattutto tiene lui la mappa in mano per orientarsi.
L’ingresso alla zona archeologica è di 20 euro e il biglietto è valido per una settimana. Noi abbiamo pagato il biglietto all’ingresso del tempio Ananda Patho dove ci hanno rilasciato un qr code da mostrare lungo il tragitto, ma puoi acquistarlo in aeroporto.
In ogni tempio è obbligatorio entrare con piedi scalzi, gambe e spalle coperte. Ti consiglio di portare con te una sciarpa e delle salviette umidificate.
Dopo il terremoto nell’agosto del 2016, non è più possibile salire sui templi per ragioni di sicurezza, ma non preoccuparti perché quello che vedrai resterà indimenticabile lo stesso.
Un ringraziamento speciale a Gabriele, mio compagno di vita e di viaggio, che ha esplorato assieme a me questo luogo unico al Mondo.
Una psicologa con la valigia sempre in mano.
Benvenuti nel blog di Psicologia del viaggio.
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