Un volo di appena 40 minuti porta me e Lele dalla piana di Bagan a Pindaya, nel cuore rurale del Myanmar (ex Birmania).
Il terminal di Heho è un salto indietro nel tempo, sembra di essere catapultati negli anni cinquanta, tra sedie in fila, colonne in legno di teak, balaustre e cumuli di valigie appartenenti a persone che partono e a gente che arriva. Aspettiamo i nostri bagagli con una lieve ansia che nascondiamo in modo dignitoso sorridendo ai monaci e alle persone che ci osservano incuriositi. Siamo tutti lì in quella sala, con addosso un adesivo che ha sostituito la carta d’imbarco. Sì, un adesivo, tondo, azzurro, attaccato alla giacca. Eppure, in quel momento di caos, siamo noi l’attrazione locale.
Prima di andare in hotel sul Lago Inle, abbiamo chiesto al nostro autista di accompagnarci alle famose grotte di Pindaya e lui, entusiasta, ha acconsentito.
E ci siamo messi in viaggio per le strade dello Stato Shan.
Pindaya è un placido villaggio nello Stato Shan sulle sponde del lago Botoloke. È conosciuta per la grotta Shwe Oo Min, ma per raggiungerla bisogna attraversare scenari collinari e i villaggi Pa-O immersi nella campagne, che si trasformano in tappe imprescindibili.
Ecco cosa non perdere:
Attraversare la campagna dello stato Shan significa entrare in quadro a cielo aperto. I terreni sono coltivati con ordine e rigore, dai girasoli alle zucchine, dal cereale alle patate, tanto da creare divisioni nette colorate di ogni sfumatura dal verde al rosso. Il paesaggio è suggestivo, di rara bellezza. Ci siamo fermati ad ogni curva alla ricerca della vista più incantata perché era come vedere un mosaico ondulato a perdita d’occhio.
Attraversando i villaggi locali, abbiamo incontrato contadini e operai intenti nel loro lavoro che cercavano di nascondere la fatica con un dignitoso comportamento. In questa zona è coltivata una gran parte di ortaggi diretti in tutto il paese, e questo richiede grandi sacrifici alla popolazione locale che si occupa delle coltivazioni senza l’uso di moderni macchinari agricoli.
La zona di Pindaya è conosciuta per la lavorazione artigianale della carta.
Siamo giunti nell’atelier della famiglia Aung che ci ha accolti nel suo laboratorio porgendoci una tazza di the e qualche dolcetto caramellato.
La famiglia è sorridente e disponibile, ognuno ha il suo ruolo, una catena di montaggio efficiente, in questa nobile attività tramandata di padre in figlio. C’è chi trasforma una poltiglia di corteccia e petali in fogli di carta, chi costruisce ventagli e ombrelli, chi decora e chi, con un tornio a pedali, crea gli stecchi per assemblare. Li osserviamo con un po’ di gelosia mentre plasmano il legno e la carta con grande destrezza, ignari che per noi, quello che stanno facendo, sia un’arte dimenticata di profondo valore.
Dirigendoci verso le grotte di Pindaya, siamo stati rapiti dalla maestosità di un albero che apriva le sue fronde ad un vasto parco. Il nostro autista si è fermato, lieto che anche questo scorcio fosse per noi motivo di entusiasmo. Qui c’erano famiglie fare pic-nic, andare a cavallo e giocare a palla. Un luogo semplice ma di straordinaria quotidianità in cui osservare la realtà locale.
La zona di Pindaya diventa mistica avvicinandosi alle grotte calcaree. La leggenda narra che in queste grotte vennero imprigionate le figlie del Re Deva di Ngwetaung da un grande ragno e salvate dal principe che, con grande coraggio, lottò con arco e frecce.
All’ingresso della pagoda Shwe Oo Min sono presenti due statue che raffigurano il momento dello scontro che ti invitano ad entrare nella grotta rigorosamente a piedi scalzi.
La spiritualità birmana non si esaurisce dietro la leggenda. Sul crinale della roccia sorge, infatti, un labirinto di profonde gallerie naturali che custodiscono quasi 10.000 statue e raffigurazioni del Buddha, donate da pellegrini di tutto il mondo nel corso dei secoli.
Raggiungere e visitare queste grotte è come fare un viaggio spirituale. Secondo il pensiero orientale, la fatica per conseguire la meta serve allo spirito per disfarsi delle passioni e lasciarle andare, prima di incontrare il divino. Se vuoi rispettare le tradizioni, una lunga scalinata di 200 gradini sul dorsale della montagna ti accompagnerà all’ingresso principale. Altrimenti c’è un ascensore.
La sacralità di questo luogo colpisce al primo impatto. Ovunque si volge lo sguardo, sono presenti stupa e statue in marmo, giada e legno dorate, disseminate in ordine apparentemente casuale in un dedalo suggestivo che ti accompagna nel cuore della montagna.
Provare per credere.
Il viaggio a Pindaya non è stato solo una tappa, bensì un’immersione nella natura e nella cultura birmana.
Il viaggio a Pindaya è durato tutto il giorno con autista privato, al prezzo di 25 euro, prenotato tramite l’hotel sul lago Inle.
L’ingresso alle grotte di Pindaya costa circa 2 euro a cui si aggiunge 20 cent per portare la macchina fotografica all’interno.
Incontri, panorami, sguardi e sorrisi con la gente del posto sono gratis eppure regalano una ricchezza interiore da portare a casa che non ha prezzo.
Un ringraziamento speciale a Gabriele, mio compagno di vita e di viaggio, che mi ha accompagnato in questo meraviglioso paese.
Una psicologa con la valigia sempre in mano.
Benvenuti nel blog di Psicologia del viaggio.
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