Il lago Inle si trova sull’altopiano collinoso dello Shan, nella zona centrorientale del Myanmar (Ex Birmania).
L’escursione a Pindaya, svolta subito dopo essere atterrati da Bagan, ha permesso a me e a Lele di immergerci in questa zona rurale tra campi di girasoli, artigiani e grotte spirituali.
Ora è il momento di vedere un luogo iconico del Myanmar, dove coltivazioni, case e atelier non sono circondati da colline, bensì sono costruiti sull’acqua.
Eccoci arrivati sul Lago Inle.
Guardo Lele un po’ intimorita perché sono convinta che prima o poi cadrò nel lago, essendo seduta su una seggiola in metallo decisamente precaria.
Siamo su una tipica imbarcazione birmana, stretta, azzurra e piatta, che si muove veloce sull’acqua facendo un rumore assordante e alzando letteralmente una cascata dietro di noi.
Non era così che mi aspettavo di vedere il lago Inle in Myanmar. Immaginavo una barchetta silenziosa che mi accompagnasse nell’assaporare lentamente la placidità di quello specchio d’acqua. Non un motoscafo fragoroso e angusto.
A destra e a sinistra, sentiamo il rumore di altre barche, anche quelle strette, lunghe e azzurre, che sfrecciano veloci, forse più di noi. Sopra, ci sono seduti alcuni turisti che ingegnosamente tengono l’ombrello aperto per ripararsi dagli schizzi d’acqua; su un’altra imbarcazione, dei monaci si lasciano bagnare mentre lanciano dei semi in aria ad uno stormo di gabbiani che li insegue.
E avanziamo, avanziamo spediti fino a ritrovarci nel mezzo della vastità del lago, circondato da colline che si specchiano nell’acqua punteggiate da stupa bianche e dorate, e i nostri occhi si spalancano per la sorpresa.
Iniziamo a rallentare, superiamo un ponte ed entriamo in un villaggio costruito sull’acqua.
Sono chiamati i “figli del lago”
Le persone, appartenenti alla minoranza intha, vivono su case-palafitta in legno teak, di una o due piani, sotto alle quali vengono ormeggiate le proprie imbarcazioni. Le strade sono canali d’acqua, le macchine sono barche a remi e a motore.
Ci ritroviamo così a salire e scendere di continuo, dalla nostra barchetta a uno stretto pontile, per entrare in ogni casa.
Lì troviamo gli orafi forgiare l’argento, i lavoratori del tabacco creare sigari profumati di menta, anice e banana, e abili tessitrici far ballare le loro dita con fili di seta e fibre di loto.
In un negozio troviamo anche “esposte” tre donne giraffa, appartenenti alla piccola comunità di Padaung, silenziose e malinconiche. “No beautiful” mi dice una di loro, e annuisco con uno sguardo che risponde alla sua tristezza.
Osserviamo bambini giocare con l’acqua, donne lavare i panni e raccogliere fiori, uomini guardarci dai pontili mentre fumano un sigaro e alcune risate provenire dalle finestre dei ristoranti le cui insegne si specchiano sull’acqua.
Nel lago incrociamo i pescatori che con un’abile tecnica sono al lavoro. Per districarsi tra canne e vegetazione, i “figli del lago” hanno sviluppato uno stile unico al mondo per pescare in questo ricco e fertile bacino: appoggiano il remo su una gamba mentre con l’altra restano in equilibrio sulla barca, in modo da tenere libere le mani con cui afferrano le nasse, le reti a imbuto.
E galleggianti sono gli orti, fertili zone sull’acqua ancorate al fondo da un intreccio di giacinti e di alghe, su cui crescono pomodori, cavoli e fagioli.
La luce del sole inizia a farsi più calda e morbida e il nostro timoniere si accorge che mi sto innamorando della luce sulle montagne. Decide così di fermarsi in mezzo al lago e spegne il motore.
Forse non è solo per me, perché piano piano si avvicinano dei pescatori eleganti, in pantaloni arancioni e camicia bianca, che con la nassa, sono più intenzionati a pescare fotografie in cielo che pesci nell’acqua.
Arrivano davanti a noi e si mettono in posa sorridendo, con una gamba per aria e l’altra in equilibrio sulla loro imbarcazione, sono veri equilibristi, un po’ sfacciati forse nel trasformare una necessità, la pesca, in un’attrazione turistica, ma ugualmente affascinanti. E ci prestiamo al loro gioco ricambiando il sorriso – ma col cavolo che sto in equilibrio su una gamba.
Torniamo a casa con l’oscurità che si avvicina, dopo aver visto un altro panorama inedito di questo paese sorprendente.
Ammetto che le trappole per turisti sono in agguato appena sposti quel velo di autenticità da cui ti sembra di essere circondato, eppure il lago Inle resta un luogo dove sperimentare una giornata scandita da ritmi inconsueti e dove trovare una semplicità di vita ormai rara da osservare.
Salutiamo il lago Inle e proseguiamo lungo il nostro itinerario in Myanmar per concludere con un altro sogno da realizzare, la Roccia d’Oro.
Abbiamo scelto di prendere un hotel a Nyaung Shwe, un paesino un po’ anonimo, ma in una posizione strategica per vedere il lago.
Il Golden Dream Hotel è una struttura modesta ma con tutto il necessario, e i ragazzi che lo gestiscono sono di una grande disponibilità. Noi, ad esempio, abbiamo dovuto rinunciare ad un’escursione sul lago di una giornata intera e modificato il programma con un giro personalizzato di mezza giornata, alla modica cifra di 15 euro.
Un ringraziamento speciale a Gabriele, mio compagno di vita e di viaggio, che mi ha accompagnato in questo meraviglioso paese.
Una psicologa con la valigia sempre in mano.
Benvenuti nel blog di Psicologia del viaggio.
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