Viaggiamo per curiosità, per far avverare desideri, per rispondere a esigenze o per necessità. C’è chi è attratto da città d’arte e cosmopolite capitali, chi da caldi deserti e da umide giungle; ci sono persone che inseguono le destinazioni sognate e chi sogna ogni volta che mette piede su una terra nuova. Ecco perché parlo di Psicologia del viaggio.
Ci basta immaginare il prossimo viaggio per essere subito invasi, anima e corpo, da un calderone di emozioni. Sono sufficienti pochi passi su altre strade, altri sentieri, altre spiagge e montagne, per farci rinvigorire da una rinnovata vitalità, nonostante la diffidenza verso l’ignoto, nonostante la fatica e le poche ore di sonno, nonostante la spensieratezza che pian piano si perde lungo il cammino verso il rientro a casa. E una volta lì, tra le mura domestiche, tutti quei vissuti, rientrano con noi. Dimorano nei nostri ricordi che riecheggiano nella mente ogni volta che lo sguardo cade su una foto, un profumo invade le narici, un sapore impregna il palato, una musica o una parola è captata dalle nostre orecchie.
Dopo un viaggio, noi torniamo a casa, uguali e diversi.
Ogni viaggio, che sia stato vicino o lontano, semplice o tortuoso, distensivo o stremante, non è solo un’esperienza che si aggiunge nel bagaglio dei nostri ricordi, ma è anche un’occasione per conoscersi, entrando in contatto con sé stessi.
Il viaggio è un crescente di fasi che si manifestano come tangibili e oggettive ma che si vivono in modo esperienziale e soggettivo. Ogni stadio, se affrontato con consapevolezza, è un’occasione per conoscersi, per crescere, per rinnovarsi.
La scelta di partire implica l’interrompere la nostra rassicurante routine quotidiana con l’intenzione di dirigerci in una nuova e inesplorata realtà. È il momento in cui decidiamo di spogliarci di quelle che sono le nostre salde certezze per esporci alle nostre insicurezze che emergono prima di metterci in viaggio. Euforia e ansia si alternano in ogni momento preparatorio, dall’itinerario alla valigia, dalla scelta degli hotel ai compagni di viaggio, iniziando così a fare emergere quei lati di noi più apprensivi che mettono in discussione le nostre scelte, che ci fanno dubitare di aver tutto l’occorrente, che ci fanno emergere le incertezze verso l’ignoto, fino a quando non sentiamo il motore accendersi per partire.
Non solo la partenza ha una rilevanza psicologica, anche la scelta della destinazione assume un valore interiore. Viaggiamo per distrarci dal quotidiano, per scoprire nuove culture, per realizzare i sogni nel cassetto, per allontanarci in cerca di risposte, per alimentare la nostra vitalità o per rispondere ad un bisogno. La meta dipende inconsapevolmente dalle nostre caratteristiche personali, dall’immagine reale e ideale che abbiamo di noi stessi, dalle nostre credenze, da ciò di cui sentiamo il bisogno, dalle aspettative che ci costruiamo e dalla motivazione che ci spinge ad intraprendere un nuovo viaggio.
Arrivati a destinazione, inizia quel coinvolgente tragitto fatto di un susseguirsi di tappe, confini, barriere, frontiere e traguardi che, oltre ad essere fisici, sono anche mentali, emotivi e sociali.
Viaggiare insegna intrinsecamente a mettere in discussione noi stessi, le nostre idee, i nostri comportamenti e le nostre sensazioni. In ogni tappa, entrano in gioco le nostre aspettative che ci inducono a provare soddisfazione o repulsione per quella meta. Ad ogni passo e chilometro macinato, stupore, preoccupazione, gioia, rabbia, malinconia e serenità, ci smuovono anima e corpo per accogliere il nuovo Mondo che abbiamo davanti. Iniziamo a vivere quel turbamento, emotivo e mentale, con partecipazione, dove il “diverso” diventa familiare, dove tutte quelle convinzioni con cui siamo partiti si infrangono dentro di noi come uno specchio, dove le insicurezze iniziali si adattano in nuove forme.
Osserviamo i profili dei paesaggi mai visti, ci immergiamo in culture lontane, scopriamo altri modi di vivere e di interagire, ascoltiamo parole dissonanti e armoniche, ci accostiamo a persone sconosciute che diventano nostri compagni di viaggio e a gente di diverso colore della pelle e sembianze che si rivelano esattamente uguali a noi, esseri umani.
Ogni momento di un viaggio si trasforma così in un’occasione in cui aprire sé stessi al viaggio, accogliendo a braccia, a cuore e a mente aperta ciò che di straordinario, e in modo spensierato, ci offre il Mondo.
Rimettiamo piede nella nostra iniziale zona sicura e riprendiamo la routine lavorativa e sociale che avevamo tenuto in sospeso. Eppure, quando torniamo da un viaggio, nonostante ci ritroviamo nella stessa casa, noi ci riscopriamo dissimili rispetto a come siamo partiti.
I luoghi in cui abbiamo camminato hanno raccontato di sé, le persone incontrate hanno lasciato un’impronta dentro di noi, le esperienze hanno influito sul nostro modo di provare e di agire. Tutto, in un viaggio vissuto, entra nelle nostre menti attraverso le sensazioni che si consolidano in ricordi. Ed è qui che arriva la nostalgia, quella calda sensazione al petto che mitighiamo con una fotografia, con una cianfrusaglia portata dal Mondo, con la scelta di mangiare in “quel” ristorante o di raccontare un aneddoto del viaggio ai nostri amici. Quando rientriamo a casa da un viaggio, siamo diversi, perché tutto ciò che abbiamo vissuto si inserisce nella nostra quotidianità, trasformandola.
Ed è questo il regalo più grande che abbiamo fatto a noi stessi scegliendo di partire: reinventarci.
Credo fermamente nell’insegnamento del viaggio, un corso intensivo in cui esplorare sé stessi confrontandoci con il Mondo su cui respiriamo. Viaggiare permette di approfondire vissuti che ci ostacolano nel nostro quotidiano, di elaborare stati d’animo che ci bloccano, di far emergere risorse che fatichiamo a vedere, di scoprire lati di noi sopiti nell’abitudine della nostra quotidianità.
Eppure, se è vero che il viaggio ha un’essenza psicologica e un valore terapeutico, non può funzionare da solo. Il viaggio non è la cura, ma è il nobile mezzo per iniziare ad entrare in contatto con sé stessi mettendosi in dubbio, per confrontarsi con la propria precarietà, per osservarsi con consapevolezza, per scoprirsi con meraviglia, per prendersi cura di sé con compassione e per reinventarsi con rinnovati desideri.
Ti invito a scoprire la Psicologia del viaggio insieme a me, quindi dimmi,
Dove si va?
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Beerli, A., Meneses, G. D., & Gil, S. M. (2007). Self-congruity and destination choice. Annals of Tourism Research, 34(3), 571-587.
Carbonetto, M. G. (2007). Il viaggio, metafora della vita. Turismo e Psicologia, (1).
Magris, C. (2008). L’infinito viaggiare, Milano, Mondadori.
Terzani, T. (2006). La fine è il mio inizio. Un padre racconta al figlio il grande viaggio della vita. Longanesi.
Una psicologa con la valigia sempre in mano.
Benvenuti nel blog di Psicologia del viaggio.
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