Ultima tappa del nostro viaggio, in attesa di prendere il volo e tornare a casa: Cancún.
L’obiettivo era quello di rilassarci nella zona hotelera, ma mai decisione fu meno azzeccata.
Eccessivo. Caotico. Un Messico non Messico.
Divertente. Sfacciato. Disinibito. Un Messico americano.
Una zona conosciuta per la vivace vita notturna, dove un numero incalcolabile di americani varca la frontiera per dirigersi in hotel di lusso a bere margarita a bordo piscina.
A parte le bandierine colorate di plastica che decorano alcuni ristoranti, di messicano qui non ho visto niente.
Qui si trovano ristoranti di lusso con ogni genere di cibo, locali notturni in cui bere e ballare sui tavoli, con una cameriera che ti versa in bocca un po’ di tequila mentre, fischiettando come fosse un arbitro, ti palpeggia come fossi un pupazzo, uomo o donna che tu sia.
Qui ci si diverte, senza pensieri o compromessi, non si cerca l’essenza messicana, si cerca di dimenticare la propria. Qui il Messico è concepito come “sono turista e faccio quello che voglio, anche pagare in dollari americani” (in giro per il Messico non ci eravamo mai imbattuti in un americano fino a quel momento e tanto meno accettano i dollari).
Cancun nasce negli anni ‘70 per accogliere e spingere il turismo americano. Ha il proprio centro di gravità intorno alla zona hotelera, una striscia di 22 km separata dalla parte continentale della città da una lingua di terra, delimitata da un lato dal mare caraibico e dall’altra dalla laguna Nichupte. In mezzo, uno sproposito di hotel, resort, centri commerciali, locali e ristoranti, un vero e proprio tempio del divertimento in chiave consumistica.
Le strutture, mediamente, sono innaturalmente imponenti, a richiamare Miami con le sue piscine, lo stile eccentrico, le architetture con quel gusto un po’ 80’s e le strade illuminate da grottesche insegne al neon. Qui trovi solo e soltanto americani intenti a far casino, a gridare e a sottolineare chiaramente quanto, fuori dai confini di casa loro, amino dimenticare qualsiasi regola di condotta.
Ci siamo fatti coinvolgere nei locali in cui si giocava al Mercante in Fiera o si cantava agitando bicchieroni ricolmi di margarita annacquato percependo quella vena di razzismo nel guardare la gente additare le uniche due persone di colore che non giocavano ma che, ironicamente erano al centro della sala all’uscita della carta de “El nigro, l’hombre nigro”.
Abbiamo poi seminato camerieri e tassisti che ci seguivano e pressavano apertamente nell’offrirci cocaina o prostitute, “coca y senoritas” a buon prezzo, rintanandoci in un McDonald’s.
E infine abbiamo osservato bambini correre tra le macchine in coda, di giorno, di sera e di notte, apparentemente senza un perchè, se non quello di rincorrere i turisti per vendergli braccialetti e portachiavi, strappati anzitempo alla loro ingenua purezza per farne ingranaggi del marketing locale.
Cancún è stata – e non avrebbe potuto essere diversamente – l’ultima tappa del nostro Messico e, ad essere sincera, se fosse stata la prima, probabilmente, avrebbe guastato tanto della meraviglia e dello stupore che abbiamo provato scoprendo le unicità delle varie Tulum pueblos e playa, Cobà, Valladolid, Chichén Itzá e Sian Ka’an.
Cancun è un posto da vedere, probabilmente, ma difficile da amare, perso tra la sua vocazione al divertimento estremo e la sua assenza di una propria anima storica, un proprio spirito originale che non sia un’accozzaglia di richiami, ora a Miami, ora a Las Vegas, ora a questo ora a quel tempio del divertimento americano e non.
Ci tornerei? Probabilmente no.
Ma chissà.
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Abbiamo dormito due notti nell’hotel di lusso Ocean Dream by GuruHotel, scelto per la posizione comoda e la piscina a sfioro che si affaccia sull’oceano.
Scegli Cancún per dirigerti nelle isole o per prendere l’aereo il giorno successivo. Qui gli stereotipi hanno sinceramente preso vita, ma questo non significa che un po’ di divertimento e semplice relax pre-ritorno facciano male. C’è l’imbarazzo della scelta tra locali per cenare e per bere qualcosa, lasciatevi ispirare.
I biglietti del Coco Bongo sono venduti ad ogni angolo della Boulevard Kukulcán a circa 80 dollari americani. Noi abbiamo scelto di non entrare, forse per tenere gelosamente stretta la memoria del nostro Messico o forse perché semplicemente non ce n’era bisogno.
I prezzi ovunque li abbiamo trovati medio-alti rispetto al resto del Messico.
Un ringraziamento speciale a Gabriele, mio compagno di vita e di avventura, che con amorevole pazienza mi ha ripreso e fotografato in questo meraviglioso viaggio.
E grazie a E-Dreamsworldwonders che mi ha permesso di realizzarlo.
Una psicologa con la valigia sempre in mano.
Benvenuti nel blog di Psicologia del viaggio.
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