Un autobus alle 8.30 del mattino ci porta in poco più di mezz’ora da Valladolid ad uno dei siti archeologici più importanti al mondo, Chichén Itzá.
Il parcheggio all’ingresso è invaso da bus turistici e macchine, persone che si accalcano verso la biglietteria dove alcuni ballerini vestiti da antichi maya si prodigano ad allietare l’attesa.
Tutta quella gente, l’ingresso moderno, i ballerini, il bar che vendeva hot-dog, le bancarelle piene di souvenir, mi hanno fatto subito mettere in dubbio la mia scelta.
Dopo aver visto i siti archeologici di Cobà e di Tulum, così armonicamente immersi nella natura, ne rimarrò delusa?
Un susseguirsi di bancarelle ti accompagna per una strada sterrata all’ombra degli alberi. Statuette, teschi colorati di ogni materiale e grandezza, artigiani all’opera, pietre e vetri portafortuna, magliette, cappelli e poi – insopportabili – fischietti.
La certezza della scelta di visitare questo luogo, ancora non arriva. Non ho le farfalle nello stomaco per l’attesa e, anzi, sono innervosita da quell’incessante fischiettare che riprende il verso del giaguaro.
Quando la strada sterrata in mezzo alla foresta si apre in un grande piazzale erboso, si resta disarmati davanti a lei, La Piramide, che sovrasta gli alberi e si erge carismatica, attirandoti come una calamita.
El Castillo, o piramide Kukulkàn, è bellissima.
Il sito archeologico rende onore alla grandezza della civiltà Maya, in particolare al clan Itzá, risalente ad un periodo tra il VI e il IX secolo d.C.
I Maya avevano una forte cultura dell’arte, dell’artigianato, del commercio e, in particolare, della scienza, e tutto emerge ancora oggi a Chichén Itzá, l’allora splendente capitale.
Siamo davvero in uno dei siti archeologici più famosi al mondo e siamo rimasti tutto il giorno per esplorare, passeggiare, ammirare e fare bolle di sapone. Il sito ha un superficie di circa tre chilometri quadrati, ma ci vuole davvero almeno una giornata intera per poter vivere pienamente lo splendore di questo luogo.
Sparito quindi il dubbio iniziale, ti elenco i miei personali motivi per cui vale la pena fermarsi – fermarsi per davvero – ai piedi di questa meraviglia del mondo:
Quando arrivi al centro della plaza erbosa, resti sbalordito dalla bellezza isolata ed iconica de El Castillo. Quello che vedi è in realtà il lato restaurato, i cui dettagli, chiari e definiti, regalano alla vista un equilibrio geometrico stupefacente. In apparenza relativamente semplice, la piramide racconta il genio ingegneristico e astrologico di questa antica civiltà che ha racchiuso il proprio calendario solare in questa struttura grigiastra. In un’altezza di circa 30 metri, si sviluppano verso l’alto quattro scalinate di 91 gradini, per un totale 365, contando il gradino finale all’entrata del tempio, proprio come il numero dei giorni del calendario. Eccezionale è la ricorrenza degli equinozi di primavera e d’autunno, durante i quali, ai lati della scalinata, si crea un’ombra ondulata che sembra unire la testa e la coda del serpente, rispettivamente alla base e alla sommità del tempio.
All’interno di El Castillo, gli archeologi hanno scoperto essere racchiusa un’altra piramide al cui interno è custodito un antico altare con le sembianze del giaguaro con occhi di giada – ecco spiegato il fischietto che richiama il suono dell’animale.
Non resta che fotografarsi di fronte, di lato, sotto e sopra la piramide e restare ad ammirarla tutto il tempo a disposizione.
Dietro a El Castillo, trovi anche El Caracol, l’antico osservatorio astronomico a forma di lumaca, caratterizzato da quattro porte corrispondenti ai quattro punti cardinali.
Ah, i Maya hanno anche inventato lo “zero” senza alcuna influenza esterna o computer, ma crearono un calendario con uno sfasamento nella previsione delle stagioni, così, per essere critici.
Meritatamente iconica.
Una delle arti proprie alla civiltà Maya era certamente quella della guerra, mezzo, paradossalmente utile a sviluppare il proprio commercio e consolidare il proprio territorio, per ottenere vittime sacrificali e per risolvere le controversie con le città rivali.
Superato El Castillo, stando sulla sinistra, ci si ritrova di fronte a due altari, uno dedicato ai riti associati alla stella del mattino – Venere o Quetzalcoatl (Plataforma de Venus) – e l’altro ai riti sacrificali, dove si ritiene venissero esposte le teste delle vittime, la cui storia è raccontata dai bassorilievi a forma di teschio sghignazzante (Plataforma Tzompantli).
Andando a destra della piramide, ci si dirige verso il Templo de los Guerreros che glorifica l’arte della guerra antica in ogni suo dettaglio. Le colonne hanno sembianze di guerrieri pronti per la battaglia e i bassorilievi ai lati raffigurano giaguari e aquile che divorano cuori umani.
Affianco al Tempio si trova il Grupo de las Mil Columnas, le mille colonne che formano un quadrato che delimita l’area di quello che un tempo era il mercato della città. Alle spalle ci si inoltra poi nella foresta dove potersi riposare osservando i resti di quello che si ritiene fosse la sauna/bagno turco, un susseguirsi di colonne grigie e di vegetazione.
Glorificazione.
Tornando verso l’uscita, ti consiglio di fermarti nuovamente a sinistra della piramide El Castillo dove, oltre agli altari sacrificali, puoi immergerti anche nell’area delimitata da un’altra struttura imponente, Juego de la Pelota. L’edificio è delimitato da porte circolari e circondato da mura lunghe circa 90 metri. I bassorilievi raffigurano scene di gioco, ma le reali regole di come si giocasse alla pelota a quel tempo restano ancora un mistero.
Non ti resta che sdraiarti anche in questo prato e immaginare.
Goal.
I Maya, oltre ad essere astronomi e guerrieri, erano una civiltà estremamente avanzata anche dal punto di vista tecnologico rispetto alle altre civiltà precolombiane, secondo l’accezione storica del termine. Prima dell’arrivo dei conquistadores, i Maya avevano iniziato la sperimentazione nell’utilizzo dei metalli e di altri materiali, in particolare, dell’ossidiana, un vetro vulcanico estremamente resistente e tagliente impiegata per utensili e armi.
La destrezza manifatturiera dei Maya sopravvive nei loro eredi messicani, come ancora oggi visibile nelle bancarelle che circondano il sito archeologico. Gli artigiani sono all’opera e dediti a mostrarti i loro prodotti, dai teschi intarsiati nel legno alle maschere a forma di giaguaro, i cui colori derivano dalla macinazione dei petali di fiori.
Al di là dell’insistenza e dall’incessante rumore del fischietto, arrendersi ai venditori di bancarelle non è stata una cattiva idea.
Roar.
P.S: Il fischietto alla fine non l’ho comprato.
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Nel corso del viaggio abbiamo deciso di fermarci a Valladolid, sia per la sua essenza coloniale, sia come punto geograficamente strategico per raggiungere il sito archeologico di Chichén Itzá. Il sito dista appena 40 km.
L’ingresso è di circa 242 MXN (circa 11 euro).
Il sito è davvero grande, quindi tieni in conto un’abbondante mezza giornata per visitarlo.
In poco più di mezz’ora, l’autobus ADO porta esattamente all’ingresso del sito archeologico con appena 5 euro, partendo da Valladolid.
Al ritorno abbiamo optato per la compagnia low-cost Oriente che, facendo più fermate nei paesi circostanti, ha impiegato circa un’oretta e mezza pagando la metà.
E’ inutile dirti che troverai un sovrannumero di turisti. Il mio consiglio è di arrivare presto per sfruttare le prime ore della mattina.
Senza un mezzo proprio, c’è il rischio di rimanere tutto il giorno in questo sito archeologico per mancanza di autobus pubblici. Per noi non è stato un problema, come hai potuto leggere, ci siamo divertiti e rilassati nel godere di queste antichità. Il mio consiglio è di goderti lentamente lo scorrere del tempo di questa giornata. Porta con te un libro da leggere su una delle panchine all’ombra e ammira ogni tanto la maestosità di El Castillo. Noi abbiamo portato le bolle di sapone e il tempo è passato meravigliosamente.
Un ringraziamento speciale a Gabriele, mio compagno di vita e di avventura, che con amorevole pazienza mi ha ripreso e fotografato in questo meraviglioso viaggio.
E grazie a E-Dreamsworldwonders che mi ha permesso di realizzarlo.
Una psicologa con la valigia sempre in mano.
Benvenuti nel blog di Psicologia del viaggio.
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