Sono giorni di smart-working qui in Lombardia, di quarantena e di isolamento e stanno emergendo problemi psicologici rilevanti per colpa della disinformazione sul Coronavirus.
Milano sembra in letargo, così lenta e in affanno. Le strade sono semi-deserte, tante sono le serrande abbassate dei negozi, poche sono le persone che si ritrovano a camminare sui marciapiedi o che si siedono sui mezzi pubblici, tenendo il volto teso e restando a distanza di sicurezza.
La prima settimana è stata impegnativa ma, dopo il primo allarme e la tensione, le persone sembrano un po’ più rilassate, ormai abituate a nuovi comportamenti, sempre caute, meno impaurite. Resistiamo, per responsabilità verso la nostra salute e per quella degli altri, e coltiviamo i nostri affetti per non dimenticarci di andare avanti.
Il Coronavirus ha messo alla prova ognuno di noi.
Mi correggo.
Le notizie allarmanti sul Coronavirus stanno mettendo a dura prova ognuno di noi, la nostra capacità di mantenere un equilibrio tra senso civico e istinto di sopravvivenza, tra paura panico e speranza, facendoci portare avanti una vita per giorni, settimane – e probabilmente mesi -, diversa, modificando, implicitamente, il nostro modo di agire e di pensare.
E quindi, come psicologa, ho sentito l’esigenza di scrivere alcuni spunti di riflessione identificando quattro implicazioni psicologiche di questo periodo segnato dal Coronavirus.
L’allarme Coronavirus ha scatenato una mobilitazione a livello mondiale che ha pochi precedenti. L’impatto sociale, economico e umano della situazione è innegabile, come innegabile è l’infodemia causata dal mondo del digitale che ha amplificato e veicolato la disinformazione sul Coronavirus.
Le notizie allarmanti, i dati drammatici e la ricerca isterica di nuove fonti hanno portato ad uno stato di confusione generale che ci ha fatto sentire inermi, deboli e indifesi.
L’emergenza è infatti qualcosa che va oltre la nostra immaginazione, qualcosa a cui spesso, purtroppo, non ci sentiamo preparati e che scatena in noi meccanismi per cercare di proteggerci. Facciamo, quindi, la cosa più naturale e semplice: recuperiamo tutti i dati possibili, li elaboriamo sommariamente pensando agli scenari peggiori, cerchiamo una soluzione e infine un capro espiatorio.
ghettizzazione, omofobia, ignoranza e allarmismo isterico.
Pensiamo alla campagna #jenesuispasunvirus portata avanti dalla comunità cinese oggetto di razzismo. Riflettiamo sulle persone accasciate a terra non soccorse. A chi viene aggredito per strada. A coloro che hanno rubato alimenti dai carrelli al supermercato e mascherine nelle corsie ospedaliere.
Stiamo vivendo un periodo paradossale, in cui ci ritroviamo a dover sbrogliare il dilemma morale del “giusto e sbagliato”, dove, però, “il giusto” e “lo sbagliato” si sono apparentemente mescolati.
Il flusso di informazioni, da cui siamo sommersi in questo momento, è imponente e il nostro cervello non riesce ad elaborarlo. A questo sforzo cognitivo, si aggiunge il costo emotivo che ricevere e vivere notizie allarmanti comporta.
Il significato che diamo alle informazioni che ci arrivano, è fortemente influenzato dal nostro vissuto e dalle nostre credenze. Per fronteggiare la fatica mentale, il primo passo è di ridurre l’esposizione per poter ragionare lucidamente.
Scegliamo solo fonti attendibili da cui farci aggiornare un paio di volte al giorno, in modo da dare il tempo, alla nostra mente, di elaborare e filtrare le informazioni acquisite e di riposare. Quando siamo lucidi, infatti, è più facile individuare le strategie adeguate e coerenti per capire come comportarci, e non essere influenzati da pregiudizi ingiustificati.
Se ci fermiamo a riflettere, il know-how attuale sostiene la convinzione di non sottovalutare il Coronavirus – perché è un virus nuovo – ma che è anche possibile fronteggiarlo prendendo le giuste cautele e misure.
Il colore della pelle, la forma degli occhi e la cultura, non contano niente.
Come cittadini, dovremmo riconoscere l’efficienza e la prontezza delle istituzioni e delle reti sanitarie nell’attivarsi di fronte all’emergenza Coronavirus con interventi di cura e di prevenzione.
E, come adulti responsabili, infine, credo sia anche un dovere fare in modo che le future generazioni non ne siano traumatizzate oggi. Raccontiamo ai bambini la giusta verità, con parole e immagini che possano comprendere. Con l’obiettivo di contenere la loro paura, spiegare il loro stato di allarme e coltivare la loro – e la nostra – sicurezza emotiva.
Secondo problema psicologico: #calderone emotivo
Terzo problema psicologico: #bussola dei valori impazzita
Quarto problema psicologico: #essere cittadini del Mondo nel futuro
Un ringraziamento speciale a Sara e Michele, amici costretti alla quarantena nella zona rossa, e a Emanuel, mio medico di fiducia esperto in immunologia.
E grazie a tutte le persone, colleghi, commercianti e amici, che si sono confrontate con me negli ultimi giorni avvicinandosi senza paura.
Una psicologa con la valigia sempre in mano.
Benvenuti nel blog di Psicologia del viaggio.
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