Una città gigantesca. Un microcosmo cinese.
Benvenuti a Pechino.
Prima tappa di questo viaggio in Cina, quattro giorni nella capitale del Nord, il centro nevralgico politico ed economico del paese che racchiude la storia e l’evoluzione contemporanea.
Pechino ha un fascino incredibile, fin dal primo momento. I templi sono disseminati in ogni angolo, i grattacieli svettano sopra i bassi edifici e i quartieri storici (Hutong). Anziani, giovani e bambini passeggiano per le strade, si riuniscono per giocare a carte o a scacchi o solo per osservare i passanti. Auto, motorini, biciclette e carretti sfrecciano con il classico modo confusionario asiatico su tutta la superficie metropolitana, e parliamo di circa 16.808 km² con 21,54 milioni di persone (fonte Wikipedia).
Lele ed io ci siamo innamorati di questa città e in questi 8 punti ti spiego essenzialmente i perchè:
Labirinti decadenti e pieni di fascino, dove la città di Pechino si rimpicciolisce mostrando tutto il suo lato umano, pittoresco e caratteristico. Gli hutong sono i quartieri storici in cui ancora la gente vive la propria quotidianità e lavora senza sosta, dove le basse case condividono i cortili in cui rigenerarsi proprio come nei film.
E’ il luogo perfetto dove iniziare a prendere confidenza con il microcosmo cinese ed entrare in contatto con questa comunità fatta di persone umili e gentili, ospitalità e abitudini folkloristiche.
Comincia qui il nostro primo contatto con questo paese ancora pieno di mistero, nel nostro hotel nel cuore degli hutong, che si mostra in quella strada stretta e polverosa grazie ad un ingresso abbellito da scritte in oro e lanterne rosse. Fuori, il cemento, il caos e il traffico. Dentro, il cotone delle tappezzerie, la simmetria degli arredi e la quiete del cortile. Il corridoio è illuminato da una luce tenue e rossastra, diffusa da una fila regolare di lanterne tradizionali, con qualche piega di troppo.
Il cortile interno è protetto da un tetto in plastica che rende umida e calda l’aria. La veranda è spoglia, con alcuni pesci rossi che nuotano in una bolla e panchine dove sedersi per ascoltare il ronzio dei ventilatori. Tutto è imperfetto, approssimativo e modesto. Oppure tutto è semplice, essenziale e perfetto.
Questi sono gli hutong, zone in cui perdersi in un dedalo di vie con e senza nome – o comunque per noi occidentali, sempre senza nome – che circondano il grande quartiere pechinese Dongcheng, il centro della città.
Noi abbiamo deciso di soggiornare proprio in uno di questi, alle spalle del Tempio dei Lama (metropolitana Yonghegong). E’ un hutong antico e decadente, si anima alle prime luci dell’alba con un brulicare di attività quotidiane che si sviluppano in sella a motorini e a carretti, e si riaddormenta al tramonto, lasciando le strade illuminate da placide lanterne rosse. A pochi metri, la Ghost Street, famosa per i locali e la vivace vita notturna (metropolitana Beixinqiao).
Un altro hutong degno di nota si sviluppa ai piedi delle Torri del Tamburo e della Campana (metropolitana Shichahai), un piccolo agglomerato di stradine che assomiglia ad un villaggio fatto di negozietti, bancarelle di street food e insegne al neon che si riflettono sul fiume.
Il cuore di Pechino. Imperdibile.
Uno dei luoghi più intensi e mistici di Pechino, il Tempio del Cielo è immerso in un grande giardino dove rifugiarsi dal caos metropolitano e dal caldo estivo.
L’altare principale, il Tempio della preghiera e del raccolto, è un edificio che racchiude le leggi cosmiche e mistiche dell’antica tradizione cinese, ovvero l’equilibrio tra cielo, imperatore, terra. Il tempio è stato costruito per parlare con le nuvole, pregare le divinità e le stelle di essere clementi l’anno successivo.
Le ceramiche gialle, verdi e blu, rappresentano l’uomo, la terra e il cielo. Il tetto conico e tondo simboleggia il tendere umano al cielo, il desiderio dell’uomo di ascendere. I quattro pilastri interni rappresentano le stagioni mentre i gruppi di colonne rappresentano i dodici mesi dell’anno e le ventiquattro ore della giornata.
Lele ed io siamo rimasti mezza giornata in questa zona sud di Pechino, tra letture, passeggiate, fotografie e momenti di ozio sotto un albero o sotto la grande arcata che accompagna all’ingresso, per poi tornare con calma verso casa.
E’ sotto queste arcate che abbiamo trovato gruppetti di pechinesi giocare a carte. Qui abbiamo sperimentato la curiosità cinese nei nostri confronti per la prima volta. E qui ci siamo innamorati dell’equilibrio tra il caos e l’ordine tipicamente cinese.
Armonia che ipnotizza.
Una vera e propria oasi di pace a nord di Pechino, un giardino così grande che non basterebbe una giornata intera per contemplare ogni suo angolo e dettaglio.
Abbiamo impiegato circa mezz’ora in metropolitana per arrivare, poi un tragitto a piedi circondati da carovane di turisti, poi ancora la biglietteria – luogo in cui ho scoperto che cinesi non hanno idea di cosa significhi mantenere una fila.
Una volta entrati, Lele ed io abbiamo iniziato a vagare in questo parco dove si sviluppa la vecchia residenza dell’Imperatore, il Palazzo d’Estate, un piccolo villaggio di templi, padiglioni, sale e arcate che si diramano tra il bosco e il lago ricoperto di ninfee. E dopo ponti, scalinate e ancora gradini, raggiungiamo il tempio buddhista in cima alla collina della Longevità, da dove riprendere fiato ammirando un incredibile panorama di Pechino.
E’ uno delle zona più visitate dai turisti cinesi, il cui numero era in rapporto di 10 a 1 rispetto a stranieri come me e Lele. Ma tutta la fatica di muoversi, la calca frenetica, le code e lo slalom veloce tra le persone, perde di importanza quando arriva l’ora del tramonto. Tutto rallenta e poi si ferma, le macchine fotografiche e gli occhi si rivolgono verso il lago ad aspettare che la luce rossastra si diffonda su quello specchio d’acqua e che i profili neri dei templi si delineino netti davanti alle nuvole.
Uno spettacolo a cielo aperto.
Non era in programma, ma girovagando tra hutong, o meglio, perdendosi per quelle strade, ci siamo ritrovati davanti all’ingresso, e l’odore di incenso – e il prezzo esiguo – ci ha fatto subito entrare. E’ uno dei templi confuciani più grandi del paese che trasmette una quiete placida, un rifugio dove trovare un po’ di riservatezza e calma all’ombra di alti e nodosi cipressi. Le stanze profumano di legno antico, quello vecchio e stantio, ma ognuna racchiude storie da raccontare. All’interno delle sale trovi libri impolverati come fossero dimenticati lì da secoli, vasi di terracotta traboccanti di offerte e strumenti musicali sparsi per terra. Fuori dai padiglioni le mostruose divinità a forma di drago e tartaruga ti scrutano mentre passeggi sui ciottoli e attraversi i ponti sullo stagno pieno di pesci rossi. Anche qui il tempo inizia a rallentare come se volesse tornare indietro.
Imperturbabilità da sperimentare.
Lo dico continuamente e con un grande stupore: Pechino è una città pulita.
Abbiamo trovato il cielo limpido e azzurro, grazie ai nuovi incentivi che negli ultimi anni hanno permesso alla popolazione di munirsi di auto e motorini elettrici. L’aria era più respirabile di Milano – e lo dico sinceramente, a parte quando passavi affianco ad un cantiere dove incappavi in una nuvola di polvere di cemento. Il traffico è caotico e congestionato, ma silenzioso, e questo è stato un sollievo per le nostre orecchie (nonostante il pericolo costante di farsi mettere sotto dai motorini che ci sfrecciavano a fianco senza che il rombo li preannunciasse).
Abbiamo incontrato sempre qualcuno, e non solo gli spazzini, a pulire i marciapiedi da cartacce e rifiuti, come se fosse un bene comune. E il netturbino passa almeno cinque volte al giorno e lo so con certezza perchè il suo arrivo è anticipato da una musichetta tipo quella del gelataio – che mi ha fuorviato la prima volta – e da luci al neon che si fanno strada per avvisare che tra poco inonderà i marciapiedi di acqua e sapone. Non passa inosservato.
Noi abbiamo l’arrotino.
Quando studiavo psicologia della personalità, un libro interessante e curioso era “Tipi psicologici”, un modo per raccontare le persone che si assomigliano per caratteristiche comportamentali. Da qui, l’idea, mentre mi immergevo in questa città, di definire i “Tipi pechinesi”, perchè, credimi, i pechinesi sono un universo a parte che esemplifica ciò che incontrerai nel resto della Cina.
I pechinesi sono carini da vedere ma vanno in giro senza un ordine. Si seguono e inseguono, vanno di corsa e scivolano intorno agli ostacoli – come te, turista occidentale -, intrufolandosi non appena c’è spazio. Non esiste una coda che io sia riuscita a fare “a modo mio”, cioè in ordine uno dietro l’altro.
Il must per eccellenza è avere la panza di fuori. Quasi ogni uomo incontrato per strada, indipendentemente dal fatto che camminasse, cucinasse ad una bancarella o fosse semplicemente seduto su una panchina, metteva in mostra il suo ombelico. Ancora ignoro il motivo.
I cinesi parlano e fanno festa, ma il loro passatempo preferito, almeno per i giovani, è il telefono. Il cellulare è come la pelle: non si stacca dalle mani. Puoi essere al volante, in motorino, in bici, in metro, per strada, il cellulare c’è. Spesso richiede di bloccarsi improvvisamente in mezzo alla strada per rispondere ad un messaggio o per lasciare un vocale o guardare un video con il rischio di far inciampare gli incauti turisti occidentali – perché ti ricordo che i cinesi sono “carpe” quindi evitano repentinamente e con estrema eleganza ogni ostacolo.
Qui si mangia sempre. Tutti hanno un sacchetto di cibo alla mano o direttamente uno spiedino in bocca, che sia per strada o in coda per entrare ad una attrazione o per prendere il treno.
L’animale da compagnia è l’emblema del folklore e delle tradizioni cinesi. Per strada oggi è possibile vedere grilli addomesticati, canarini da passeggio, merli con cui scambiare due chiacchiere e cani, prevalentemente di piccola taglia, il cui pelo è tagliato e colorato come se fosse una piccola scultura. Una cosa è certa: i pechinesi amano i loro animali, ne vanno fieri e te li mostrano con un grande sorriso orgoglioso.
Ineguagliabili.
Girovagando per gli hutong si incrociano e si scovano una miriade di posticini deliziosi. Non so dirti i nomi, erano tutti in ideogrammi, ma ti do un consiglio: lascia perdere i grandi ristoranti, se il locale è come un corridoio, con panche di legno e pochi tavoli, sei nel posto giusto.
Quasi tutti i ristoranti hanno il menù con le immagini e qualche parola in inglese per far comprendere gli ingredienti principali (carne-pesce-verdura). Sperimenta, non rimarrai deluso da ravioli, noodles, spiedini, zuppe e pesce cotto alla brace, ed è lecito mangiare sia di giorno sia di notte. Abbiamo scoperto che qui a Pechino – ma in tutta la Cina – si mangiano wurstel come se non ci fosse un domani, prevalentemente a forma di spiedino da passeggio. Altro che gelato. I ristoranti e le bancarelle di street food hanno prezzi davvero bassi.
Golosità ad ogni angolo e ad ogni ora.
Dopo aver dedicato un giorno alla Grande Muraglia e aver iniziato a girare per le strade di Pechino, Lele ed io ci siamo subito resi conto di quanto il tempo non bastasse mai.
Questa città ha una superficie immensa e le attrazioni sono sparse ad ogni angolo, per cui ci vuole molto tempo per muoversi. Le attrazioni sono sempre grandi e richiedono ore per poterle visitare, inoltre, chiudono quasi tutte molto presto, tanto da non riuscire ad entrare in diversi luoghi perché la biglietteria veniva serrata alle 16.30 o alle 17.00.
E’ stato così che non siamo riusciti ad entrare alla Città Proibita – o avremmo perso il treno – e ci siamo dovuti accontentare di una foto ai piedi delle mura d’ingresso e di salutare il faccione di Mao dalla Piazza Tian’anmen. Grazie a questo inconveniente, siamo però riusciti a vedere la zona moderna di Pechino e scoprire spettacoli di fontane e negozi alla moda con marche europee.
Non siamo riusciti neanche ad entrare al Tempio dei Lama, pur essendo affianco agli hutong. E neanche a visitare il 798 Art District, sede di mostre d’arte contemporanea, chiuso nell’unico giorno libero a nostra disposizione.
Per quanto la frenesia del saltare da un sito all’altro ci abbia tolto anche il tempo di pentirci di non aver potuto vedere i luoghi appena citati, questi rappresentano oggi l’occasione e il motivo per cui ci piacerebbe semplicemente tornare.
Il mio consiglio è di prendere il tempo necessario per visitare ogni luogo perchè ogni angolo di Pechino merita di essere visto, valuta quanto davvero ti interessi entrare in ogni sito descritto dalla guida perché, sinceramente, Pechino è davvero molto, molto di più, e perdersi per le sue strade è stata sempre la scelta più azzeccata.
Pechino non è solo la Città Proibita.
L’aeroporto è ben collegato con il centro città grazie all’Airport Express la cui fermata di arrivo coincide con la metropolitana di Dongzhimen nel centro di Pechino. Qui dovrai lasciare il biglietto negli appositi sportelli di uscita e comprare il tagliando della metropolitana. Il prezzo è 25 CNY (circa 3,30 euro).
Senza alcun dubbio ti consiglio di usare i piedi, ove possibile, e la metropolitana. Pechino ha 22 linee che coprono l’intera superficie e ti permettono agevolmente di raggiungere ogni attrazione. Il prezzo varia dal numero di fermate, ma è sempre stata molto economica. Controlla sempre la mappa prima di uscire quando sei arrivato a destinazione perché ogni fermata ha almeno dieci uscite molto distanti tra loro simboleggiate da lettere (A-B-C…). E’ facile orientarsi grazie alle chiare indicazioni anche in inglese e le metropolitane moderne che indicano la fermata successiva già dalla banchina di attesa. L’unica pecca, è che il servizio chiude molto presto (ultimo treno 22.50) e ci sono controlli con metal detector ad ogni ingresso.
A questi si aggiungono i taxi, economici, e i risciò, con i quali è solo un po’ complicato spiegare dove si vuole andare. Ricordati di avere sempre con te una mappa e delle indicazioni utili (come il nome e l’indirizzo dell’hotel) anche in cinese.
In Cina non esistono Change – a parte in aeroporto che ti sconsiglio per il cambio troppo sfavorevole. Le soluzioni sono due: prelevare direttamente agli sportelli o andare in Banca. Se vai direttamente al bancomat, assicurati che il tuo circuito venga gestito in Cina (chiedi preventivamente alla tua banca di riferimento), questo è sicuramente il metodo più comodo e veloce. Se vai allo sportello in banca per cambiare i soldi che ti sarai portato, ti verrà chiesto di compilare un documento con i dati del tuo viaggio, un metodo sicuramente più dispendioso di tempo ed energie ma può essere necessario.
Se riesci a collegare la tua carta alla app WeChat, puoi pagare ogni cosa con il codice QR.
Le attrazioni:
Spostamenti in metropolitana: circa 10 CNY a testa ogni giorno.
Mangiare: in base alla tipologia di locale o bancarella di street food, abbiamo speso tra i 25 CNY e i 160 CNY in due a pasto.
I cinesi non parlano inglese, se non alcuni concierge all’interno degli alberghi. Di conseguenza, armati di pazienza, spesso neanche i gesti sono sufficienti. Ricordati quindi di scaricare in Italia il VPN (io ti consiglio il VPN Express) che ti permetterà di accedere ad internet senza problemi. Il wifi c’è quasi ovunque, non ho mai avuto problemi. Scarica la app We-Chat che permette di svolgere notevoli attività quali tradurre e pagare. Per emergenza, in caso non trovassi una linea wifi o non funzionasse internet, ti consiglio di fare uno screenshot delle parole chiave che userai più facilmente – noi lo abbiamo fatto soprattutto nel centro della Cina. Non ho mai avuto problemi nel comunicare con i cinesi perchè quasi sempre erano loro i primi ad estrarre il cellulare per poter tradurre simultaneamente.
Abbiamo soggiornato presso il The Classic Courtyard, una struttura a corte semplice, economica e piena di fascino all’interno degli hutong affianco al Tempio dei Lama. La posizione è comoda per girare perchè vicino a più linee della metropolitana e a diverse zone di interesse, la zona è molto caratteristica e vivace ed è vicino ad una banca e a diversi sportelli. Ci siamo appoggiati alla struttura per la gita in giornata alla Muraglia Cinese grazie all’agenzia turistica interna.
Una psicologa con la valigia sempre in mano.
Benvenuti nel blog di Psicologia del viaggio.
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