“La vita è un viaggio”
Quante volte abbiamo sentito queste parole?
Sembrerà una frase un po’ idiomatica, un banale modo dire, eppure possiede un significato molto più profondo di quanto si possa immaginare.
Ed è qui che desidero portarti per parlare del significato psicologico del viaggio.
Cercherò di essere sintetica e poco tediosa, ma è doveroso fare una premessa teorica per aiutarti a comprendere il perché ti parlerò dell’importanza del senso di sicurezza e della fiducia nel Mondo quando siamo in viaggio.
Non tutti vorranno ammetterlo, ma in età adulta siamo influenzati dalle nostre esperienze relazionali di quando siamo bambini. In particolare, sono i nostri vissuti emotivi di attaccamento (la relazione con le nostre figure di riferimento, come i genitori), che elaboriamo e interiorizziamo, che condizionano le nostre relazioni, regolano l’adattamento e l’interazione con l’ambiente e con le persone.
A metà del Novecento, il teorico Bowlby approfondì il legame tra il bambino e la figura materna, quest’ultima la persona responsabile del soddisfacimento dei bisogni primari di attaccamento – la base della sicurezza – e dell’accudimento – la base dell’amabilità.
Gli approfondimenti successivi di Ainsworth (gli studi sulla Strange Situation, 1978) e di Main e Solomon (1990), hanno permesso di individuare quattro diverse tipologie di Attaccamento (sicuro, insicuro-evitante, insicuro-ambivalente e disorganizzato) che si distinguono per il diverso comportamento esplorativo e affiliativo dei bambini in base alle risposte materne.
In estrema sintesi, i risultati mostrano che quando la madre è responsiva, attenta e sensibile, sarà una base sicura per il bambino che, con fiducia in sé e negli Altri, esplorerà in modo funzionale l’ambiente e si comporterà in modo adattivo di fronte a distacchi e a separazioni.
Diverso è se la madre adotta risposte inadeguate. Questa mancanza creerà nel bambino scarsa fiducia in sé e negli Altri, portandolo ad un’esplorazione insicura, ansiosa o timorosa dell’ambiente circostante e un disagio nell’allontanamento.
Nel corso dell’infanzia, quindi, grazie a questo legame con la nostra figura di attaccamento, interiorizziamo dei modelli di relazione (i Modelli operativi interni) che ci influenzeranno nel modo di vedere noi stessi, di prevedere il comportamento gli Altri e di costruire un’idea sul Mondo.
Queste risposte si avvicinano alle tue credenze interiori più profonde, su cui si appoggia, e si costruisce inconsapevolmente, il tuo modo di parlarti, di interagire e di esplorare.
Ma attenzione!
Questo non significa che siamo destinati a ripetere un modello interiorizzato dall’infanzia – altrimenti noi psicoterapeuti a cosa serviamo?
Quando siamo “grandi”, abbiamo il compito e la responsabilità verso noi stessi, di scegliere cosa sentiamo essere meglio per noi, per soddisfare un altro importante bisogno di noi esseri umani: l’auto-realizzazione – ovvero, essere sé stessi.
E il viaggio è una valida occasione per capire come esaudirlo.
Le fasi di un viaggio (la partenza, il percorso, l’arrivo – e io aggiungerei “il ritorno”) richiamano la ciclicità della vita, un susseguirsi di nuovi inizi (la nascita), apprendimenti (infanzia), tappe (adolescenza), crescita (adultità) ed epilogo (la morte).
La parola “partire” deriva dal latino “pàrs”, “parte”, e significa “dividere, separarsi, allontanarsi”.
La vita è come un viaggio perché, quando partiamo, mettiamo in atto, simbolicamente, quel processo di distacco e di separazione dai nostri punti di riferimento – ecco il motivo della premessa teorica. Passiamo, quindi, da una fase simbiotica ad una fase di separazione e individuazione, ovvero, ci allontaniamo dalla nostra base sicura e familiare, dalla nostra zona di comfort, per raggiungere e maturare la nostra autonomia e indipendenza.
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Quando parlo di Psicologia del viaggio, descrivo il viaggio non come la cura, ma come un nobile mezzo per conoscere sé stessi.
Quando ci spostiamo fisicamente per esplorare il mondo esterno, parallelamente svolgiamo anche un viaggio nel nostro mondo interiore: approfondiamo i significati che il contesto ci rimanda, ascoltiamo le emozioni elicitate che risuonano dentro di noi, ci interroghiamo facendo riflessioni per orientarci e per comprendere il contesto nuovo in cui ci troviamo.
Ogni volta che siamo in viaggio, ci permettiamo di scoprire qualcosa del nostro “essere più autentico”, perché ci spogliamo da quelle etichette e da quei ruoli da cui ci sentiamo definiti nella normalità.
Partire per esplorare l’ignoto, con curiosità e adattamento, appare più naturale quando abbiamo interiorizzato quella sicurezza e fiducia in noi, perché comporta la disponibilità nel metterci in gioco, nell’affrontare l’ansia della scoperta e dell’imprevisto, ma, soprattutto, nel distanziarci dalla nostra base sicura per aprirci alla meraviglia del Mondo.
Quando, invece, abbiamo un’immagine più debole e insicura, il distacco e l’esplorazione saranno probabilmente vissuti come un momento ansioso, costrittivo e sofferente. E se quell’insicurezza prende il sopravvento rispetto al desiderio e alla curiosità di vedere il mondo, possono emergere la paura di viaggiare, l’ansia pre-partenza, i blocchi, le fobie e gli attacchi di panico.
E dovremo lavorarci su!
In viaggio, come nella vita, dalla partenza al ritorno, abbiamo l’occasione di sperimentare e conoscere parti di noi sopite e alienate nella quotidianità.
Partendo, ci diamo la possibilità di “staccarci dal passato” che lasciamo a casa e indossare una nuova veste più autentica di noi, allo scopo di volerci bene, vederci liberi, forti e, in qualche modo, diventare “grandi”.
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Ainsworth, M. D. S. (1978). The bowlby-ainsworth attachment theory. Behavioral and brain sciences, 1(3), 436-438.
Maximiliano, K., & Skoll, G. (2016). Exploring the fear of travel: study revealing into tourist mind. Journal of Tourism, 1135.
Main, M., & Solomon, J. (1990). Procedures for identifying infants as disorganized/disoriented during the Ainsworth Strange Situation. Attachment in the preschool years: Theory, research, and intervention, 1, 121-160.
Troyer, D. & Greitemeyer, T. (2018). The impact of attachment orientations on empathy in adults: Considering the mediating role of emotion regulation strategies and negative affectivity. Personality and Individual Differences,122(1), 198-205.
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