Camminare
Perché fare un cammino?
Mi hanno chiesto i miei familiari sbigottiti, quando a tavola dissi la mia intenzione. Questa estate sarei rimasta qui in Italia per fare il mio primo cammino, il Cammino d’Oropa.
Ho sempre camminato tanto in giro per la mia città, nei miei viaggi, nei weekend in montagna.
Era un modo per tenermi in forma da una vita sedentaria, per recuperare le energie ed estraniarmi dopo una giornata intensa in studio, per esplorare e immergermi in zone lontane da luoghi urbani.
Ma questa estate, ho fatto un cammino di pellegrinaggio che mi ha messo profondamente alla prova. Non è stato come un trekking per arrivare a una cima, non è stato come una passeggiata in città, non era come curiosare in un nuovo paese.
Camminare era l’unico modo per raggiungere zone urbane, per superare colline e alte valli, per uscire da fitti boschi e raggiungere la meta finale.
Non avrei mai pensato di poter fare 60 km a piedi, io per prima ho dubitato di questa scelta, eppure, dentro di me, sentivo l’esigenza di mettermi alla prova e di vivere questa esperienza completamente nuova.
Ora vorrei descriverti i benefici interiori del camminare che ho scoperto passo dopo passo e gli insegnamenti che ho portato a casa, per spiegarti il perché fare un cammino.
LEGGI ANCHE: Cinque benefici psicologici del viaggio: dal corpo alla mente, dal mondo fuori al mondo dentro
Lo zaino deve contenere solo ciò che serve, non puoi appesantirlo o non riuscirai a camminare. Quell’indispensabile diventa la cosa più importante, mentre sudi e fai fatica, mentre lo svuoti e lo rifai la sera. La prima volta che lo appoggi a terra, ti sembra di poter galleggiare nell’aria, eppure, passo dopo passo, quello zaino diventerà parte integrante di te.
Lo zaino ha davvero il peso delle tue preoccupazioni, sei obbligata a partire leggera.
Per poter andare avanti, non puoi pensare alla fine. Devi fare un passo alla volta, guardare dove metti i piedi, ascoltare il tuo corpo, le gambe, la pancia, il respiro, il cuore, per sapere se hai bisogno di fermarti o quanto ancora puoi andare avanti. Credere di poter fare un cammino rincorrendo la meta finale, è un’illusione e un ostacolo mentale: se pensi alla fine e non presti attenzione a ciò che c’è in mezzo, non arriverai mai.
Vivi lentamente a ritmo delle tue risorse.
Non puoi andare veloce, non è una gara, ma è un percorso che fai tu in prima persona per stare con te stessa. In mezzo al bosco il telefono non prende, ci sei tu, la tua bussola attaccata allo zaino, la tua attenzione che cerca i segnali per accertarsi di essere sul sentiero giusto.
Sono ciò che ti sostengono, devi averne cura con le scarpe giuste, le calze giuste, metterli a contatto con la terra, il prato, le piastrelle della stanza, le ciabatte per rigenerarli.
C’è un momento in cui ti maledici per aver fatto quella scelta, vorresti arrenderti alla prima salita, ai primi cinque chilometri su strada asfaltata, alla prima volta che appoggi quello zaino pesante a terra.
Ma la sorpresa di essere giunta alla prima tappa ti parla dalla pancia, ti dice che “ce l’hai fatta” e che puoi proseguire.
Quel dialogo interiore si trasforma nel tuo motivatore e ti spinge a scoprire che su di te puoi contare.
Una condivisione che ancora non avevo sperimentato, essere insieme a qualcuno, eppure, fare un viaggio personale.
Parli, racconti la tua vita, ascolti la vita degli altri. Persone che sono tuoi compagni di viaggio per qualche passo, che condividono pienamente la fatica di quello zaino, il silenzio dato dalla stanchezza e dalla concentrazione per non cedere, e la gratificazione di un brindisi a fine giornata.
Quel refrigerio che scopri a fine giornata, giunta alla fine della tappa, dove incontri altri viandanti come te, dove un ristoratore ti fa un timbro sul tuo libricino per congratularsi di aver raggiunto un altro traguardo, dove chi incontri ti saluta con quello sguardo che sa cosa stia passando. Scopri di essere in una comunità a cui non avresti mai pensato di appartenere, fatta di persone resilienti.
Non sei mai sola in cammino, anche quando sei con te stessa.
Essere soli non significa provare solitudine.
LEGGI ANCHE: Come scegliere un buon compagno di viaggio: i 5 consigli
La fine diventa l’inizio e l’inizio torna ad essere la fine. Una circolarità dove inizia a girare quella bussola emotiva. Gioia, nostalgia, soddisfazione, sconforto, nervoso e orgoglio, si amalgamano con le ultime riflessioni da rientro.
Il legame del tutto
Che ogni volta che mi sento ferma nella mia vita, bloccata in scelte che mi stanno strette, che credo di non potercela fare, posso fidarmi dei miei piedi, un passo alla volta, e andare sempre avanti.
Un ringraziamento speciale alla mia compagna di viaggio Sara, nonché mia splendida cugina, autrice delle foto che mi raffigurano e complice di inquantificabili passi e sonore risate.
Una psicologa con la valigia sempre in mano.
Benvenuti nel blog di Psicologia del viaggio.
Una psicologa con la valigia sempre in mano.
Benvenuti nel blog di Psicologia del viaggio.
© 2017 - Travelpsych. Tutti i diritti riservati.travelpsych.it - chiara@travelpsych.itPrivacy Policy - Cookie Policy
Design by A Digital Else.